Per le duecento persone intervenute venerdì 25 novembre 2005 al Ridotto del Verdi di Trieste al concerto intitolato “Note jazz per Sergio Endrigo” e al pubblico che ha stipato sabato le sale della Comunità degli italiani di Pola per l’omaggio a Sergio Endrigo, il messaggio è chiaro. Nel nome di un “grande” molte barriere si frantumano e la poesia riesce a saldare antiche tristezze. Come dire che se un popolo sparso come il nostro, si potesse guardare allo specchio, l’immagine riflessa sarebbe quella della cultura, possibilmente alta, che qualifichi una storia e una presenza fatta anche di uomini illustri e opere importanti.

Scusate l’entusiasmo – ma è successo che, nel nome di questo cantautore dolcissimo nelle melodie ma forte nei richiami, si è verificata una ricomposizione ideale e, per certi versi, reale. Ad esibirsi a Trieste musicisti provenienti dalle nostre zone, Trieste e l’Istria, che operando tra Padova e Milano sono riusciti a proporre la “nostra” musica a livelli universali e a coinvolgere altri artisti che istriani non sono ma che amano l’arte e in nome dell’arte partecipano a momenti come questo.

Un cast vocale e strumentale d’eccezione, quindi, che non si è fermato a ricordare ma è riuscito a costruire sull’omaggio a Sergio Endrigo, un evento straordinario.

A partire dalle parole arrabbiate di Gino D’Eliso, contro la guerra e i soprusi, per una pace che conservi il sorriso ai bambini. Lui Endrigo l’ha conosciuto, lo ricorda con stima ed affetto mentre gli occhi s’illuminano di gioia e di una sorta di pudore, quasi che tutto ciò che riguarda il cantante di Pola, debba essere sussurrato. E poi, passa il testimone ad Alessandro Boris Amisich – chitarrista e a Carlo Dalla Battista – pianista. Amisich ricorda che Mauro Giuliani, chitarrista e compositore noto soprattutto alla Corte di Vienna, si esibì proprio al Ridotto del Verdi nel 1803. “Allora ho pensato – avverte il pubblico – di intercalare le note di Giuliani a quelle di Endrigo”. Dissacrante? Il risultato di tale abbinamento l’ha valutato il pubblico che non riusciva a smettere il lungo applauso ai due esecutori che non si sono risparmiati nel concedere altri momenti di vera emozione fino a perdersi nell’improvvisazione blues di un Endrigo forse inedito ma fedele alla sua raffinatezza melodica.

Nell’introdurre il maestro Luigi Donorà, la giovane presentatrice Annalisa Zecchin, ha ricordato i frequenti incontri del musicista con la gente di Dignano e il suo amore per le note della terra istriana. Con l’entusiasmo che lo contraddistingue e la simpatia “bumbara”, accompagnato da uno splendido pianista come Mario Calisi, hanno presentato al pubblico una scelta di brani di Endrigo arrangiati per l’esecuzione a quattro mani. 

L’esecuzione classica ha riportato il pubblico ad una immediata sintonia con le musiche di Endrigo, quasi un invito ad unirsi ad un ipotetico coro, se non reale, almeno d’immaginazione. Suoni puliti, arrangiati con maestrìa, e il pubblico non ha lesinato tributi. Il maestro ha voluto – con un fuori programma – dedicare un pezzo a Susanna Isernia, dell’UPT, che da anni organizza, segue e coordina l’attività culturale, in particolare quella musicale, in Istria, a Fiume e in Dalmazia nell’ambito del rapporto tra Università Popolare di Trieste e Unione Italiana. Enti quest’ultimi che con il CDM hanno reso possibile offrire a Trieste questo concerto.

A chiudere le performance Mario Fragiacomo (tromba, flicorno e live electronics) e la soprano Sabrina Sparti. La sperimentazione, con questi due musicisti, tocca livelli di incredibile suggestione. La voce diventa strumento e lo strumento voce, in un intersecarsi di effetti che permettono di ricreare la magia della musica popolare appena accennata, quasi sfiorata per trasformarla ed elevarla a momento dotto.

Le modulazioni di voce della Sparti sottolineate dalle variazioni strumentali di Fragiacomo hanno affascinato il pubblico fino a commuoverlo sulle note di quel “1947” che ripete nelle parole “come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà…“. Un sogno impossibile ma anche una metafora importante, se è vero che non si può nascere alberi è anche vero che l’albero simboleggia la vita, la famiglia e quindi si può costruire, con la buona volontà di chi è in grado di credere.

Rosanna Turcinovich Giuricin

Endrigo ed oltre … le emozioni